Sottovoce
di Maurizio Dell’Acqua
Da sempre i conflitti generazionali sono frutto e conseguenza di mode o di particolari momenti storici. A questo proposito è sufficiente ricordare il Sessantotto.
Non ho alcuna intenzione di inoltrarmi in un trattato di sociologia, ma la mia intenzione è cercare di capire quanto vere e fondate siano le origini di queste ostilità che sorgono talvolta tra genitori e figli. Impresa difficile, ma non impossibile. Come sempre, quando mi trovo a dover risolvere problemi di tipo comportamentale, ho fatto ricorso ai testi biblici. Vi sono parecchi riferimenti che si possono attagliare a questo argomento, sia nel Nuovo che nell’Antico Testamento. Primo fra tutti è il IV comandamento: onora il padre e la madre. Va detto, in premessa, che questo precetto antepone in forma indiscutibile il rispetto verso i genitori, senza porre alcuna limitazione o qualsivoglia condizione. Ma già nel vangelo di Luca (Lc 15,11-32) – nella parabola del figliol prodigo –, le cose vanno diversamente. Lì non vi è solo il problema del figlio libertino che esige la sua parte di eredità per poter vivere dissolutamente, ma va anche necessariamente considerata la contrarietà del figlio maggiore verso il genitore, che non condivide la decisione del padre, propenso al perdono del fratello minore.
Notevole è poi il comportamento di Gesù smarrito nella carovana di ritorno da Gerusalemme e ritrovato, dopo grande tribolazione, dai suoi genitori nel tempio. (Lc 2,48-50). E sua madre gli disse: “«Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole.”
Questa, però, è ben altra cosa! Gli atteggiamenti di Gesù non vanno annoverati assolutamente tra le incomprensioni comportamentali E, perciò, a questo punto, è necessario completare il capitolo di Luca:
“Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso.” (Lc 2, 50-51).
Che cosa possono insegnarci questi pochi versetti?
Io proverei a rispondere con un altro passo biblico, tratto dalla Lettera di san Paolo agli Efesini.
“Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. Onora tuo padre e tua madre: è questo il primo comandamento associato a una promessa: perché tu sia felice e goda di una vita lunga sopra la terra. E voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma allevateli nell’educazione e nella disciplina del Signore.” (Ef 6,4).
Quel “non esasperate” è un chiaro richiamo affinché sia l’adulto, cioè il genitore, a comprendere quale sia la giusta misura per allevare e guidare il figlio e l’allievo, cercando di intuire e identificare le reali attitudini del giovane.
Tornando al Sessantotto, a quei tempi la principale risposta agli inviti educativi da parte degli adolescenti, era quasi sempre un categorico rifiuto di accettare un qualsiasi suggerimento comportamentale e le persone che si facevano carico di questo compito, spesso venivano etichettate aprioristicamente con l’espressione matusa, una parola dai contorni offensivi, che intendeva in maniera conveniente allontanare e impedire un qualsiasi tipo di rapporto con le persone adulte. Pure assumeva spesso nel gergo giovanile l’identificazione di una persona di mentalità superata, non attenta al cambiamento dei tempi, a prescindere dalla sua reale età.
Pur non essendo mai stato schierato dalla parte dei sessantottini, ricordo un episodio che ha caratterizzato la mia giovinezza. Eravamo proprio nel pieno della contestazione giovanile e io stavo concludendo il biennio delle scuole superiori. Il professore di italiano e storia, pur insegnando quel tipo di materie letterarie, aveva, però, una laurea in filosofia e si mostrava spesso simpatizzante dei movimenti studenteschi. Un giorno mi chiamò in disparte e mi disse: «Che tu sia una testa dura, ormai lo sappiamo tutti noi docenti. Per me, poi, sei un vero disastro. Fai sempre a modo tuo. All’inizio dell’anno scolastico meritavi appena la sufficienza e adesso, che la scuola sta per finire, sei ancora da appena sufficiente. Non hai fatto tesoro alcuno di tutto un anno di studi. Però voglio dirti che una cosa l’ho imparata io da te: ora so che l’insegnamento non si impone, ma si trasmette solo con il buon esempio.»