Parola e vita
di Pietro Cioli
Il termine penitenza richiama alla mente sacrifici, rinunce e mortificazioni: pratiche tradizionalmente raccomandate e oggi guardate con sospetto se non disprezzate. Per intenderne il senso bisogna partire dall’idea di conversione, che nei vangeli ha due nomi: uno indica cambio di direzione, uno stacco deciso dal passato, e l’altro dice mutamento dei modi di pensare e sentire, un compito quotidiano e mai finito. Penitenza è questo esercizio continuo ed anche faticoso senza il quale non potremo essere persone nuove come desideriamo. Per rivalutare questa pratica della penitenza è tuttavia necessario, immaginarla in modo più aderente alla vita e nelle sue varie forme.
Anzitutto essa ha a che fare con una fragilità comune a tutti i mortali. Una coda nel traffico, un elettrodomestico che si guasta, il rumore del vicino, un’assenza di rete, un’incomprensione involontaria che ci fa soffrire: tante situazioni che accadono e che non possiamo far altro che patire. Sono molti tra noi e anche accanto a noi a vivere con compostezza e dignità, senza troppo recriminare le molte occasioni di penitenza che la vita ci offre. Non dobbiamo sminuirne il valore.
Anche il nostro agire ci costa fatica e nasconde in sé una logica di bene o male che sfugge al nostro controllo. Fare con diligenza non elimina lo scacco e l’insuccesso: quel che stai cucinando si brucia, il chiodo che batti fuoriesce malamente, il tralcio che stai legando si spezza. Il lavoro ci affatica e il nostro agire manifesta il suo carattere provvisorio, ma non per questo dobbiamo rinunciare a fare o smettere di averne cura. Dobbiamo ripensare alla fatica generata in noi da tale aspetto dell’esperienza e viverla con la fiducia che Dio sa dare compiutezza al nostro fare.
Ci sono poi azioni ripetute, che diventano un modo di essere, una struttura della nostra identità. Le abitudini talora possono indurci a fare meccanicamente e malamente, ma se sono virtuose, sono capaci di plasmare il nostro modo di sentire e di essere, al punto che con naturalezza riusciamo a fare quel che prima ci risultava difficile: ci sforziamo di ascoltare chi ci parla e col tempo ci viene spontaneo farlo e siamo ricercati per la nostra capacità di ascolto; ci alleniamo allo sforzo e col tempo il lavoro non ci pesa e riusciamo a terminare prima del previsto; ci impegniamo a non ingurgitare il cibo prima che tutti siano a tavola e così non solo lo gustiamo di più ma la tavola diventa momento di comunione. Penitenza è questo virtuoso allenamento a vivere bene.
Da ultimo c’è da fare i conti con il male che noi stessi compiamo. E’ una situazione critica per chiunque scoprirsene capaci e tanto più per il cristiano che nel battesimo è diventato in Cristo creatura nuova, è stato rigenerato nell’amore. Il peccato, ci isola dagli altri, ci allontana da Dio e ci divide interiormente: non riusciamo a perdonarci oppure, ingannando noi stessi, preferiamo autoassolverci. Che fare? È ancora possibile cambiare dopo aver perso l’innocenza?
La risposta sta nella penitenza che diviene un sacramento, un segno umano nel quale si fa presente ed opera Dio stesso. Questo è il solo modo con cui riusciamo ad essere persone nuove dopo l’esperienza del peccato. Non possiamo fare da soli. La conversione non è la condizione ma la conseguenza del perdono di Dio gratuitamente ricevuto. Il sacramento della riconciliazione o penitenza ridona al cristiano la libertà ricevuta col Battesimo. E’ una penitenza l’intero svolgersi del sacramento: trovare le parole e la forza d’animo per confessare il peccato, esporsi al giudizio e al discernimento della chiesa fino a ricevere l’assoluzione, proporsi di rimediare al male fatto e fare gesti che inizino a ricostruire le condizioni di un effettivo cambiamento.
Il legame del tutto tradizionale tra la Pasqua ed il sacramento che ci riconcilia con Dio è più che motivato: è il Crocifisso che prende su di sé il peccato del mondo, tutto ciò che ci allontana da Lui; ed è il Risorto che promette il perdono e invita i suoi discepoli ad offrirlo. Fare Pasqua è ricevere il perdono di Dio commovendosi sino alle lacrime: esse sapranno ad addolcire il nostro cuore indurito e sciogliere i nodi che ci paralizzano e turbano la nostra vita.
Fare penitenza è qualcosa di ampio e di vitale che certamente si conclude nel sacramento ma che non può ridursi a quest’ultimo decisivo passaggio. Quando, come negli ultimi decenni, così accade, quando il rinnovamento della vita viene proposto come un evento puntuale, quasi magico e non come un’esperienza umana integrale, un processo che dura nel tempo, si corre il rischio, come puntualmente si è verificato, che il sacramento non risulti più convincente e che ad esso malauguratamente si rinunci.