Parola e vita

di Pietro Cioli

Il tema non è così semplice come si possa pensare. Basterebbe ricordare al riguardo la complessa vicenda storica del cristianesimo.
Partiamo da una parola di Gesù: “Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”(Mc 12,17). Di fronte alla domanda se sia giusto pagare i tributi al potere politico Gesù non risponde direttamente alla questione ma cerca di smascherare l’ipocrisia di chi lo interroga. Se hanno già in tasca una moneta coniata da Cesare nei fatti accettano già il potere di Roma a proposito di commercio e imposte. D’altro canto questo non lede i diritti di Dio che vanno sempre salvaguardati. Gesù distingue con chiarezza, come non era mai stato fatto prima, tra il regno di Dio e i regni terreni ed è per questo che egli puntigliosamente rifiuterà ogni potere terreno: “Uno della folla gli disse: Maestro di a mio fratello che divida con me l’eredità? Ma Egli rispose: O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?” (Lc 12,13-14).
Gesù tuttavia non si atteggia da puritano che non vuol aver a che fare con le compromissioni della politica. Solo che la giustizia “superiore” che egli vuole portare non può essere istaurata con gli strumenti del potere per quanto “legittimo” e deve perciò essere esclusa ogni concezione sacrale o teocratica del potere politico. La prima generazione cristiana, anche più di quelle successive, lo aveva ben compreso: non si adopererà per sovvertire l’impero romano, ma rifiuterà con un’intransigenza che arriva sino al martirio, di accettare la volontà di Cesare come assoluta o divina.
Sulla base di questo caposaldo della visione cristiana, riaffermato dal concilio Vaticano II ci pare siano due le vie cristiane da perseguire nella ricerca della pace. La prima passa per quella giustizia superiore che nessuna politica potrà mai realizzare e che si genera nel cuore di ciascun uomo per quel miracolo che lo Spirito di Gesù e l’obbedienza alla logica dell’amore incondizionato può compiere. E’ la via proposta dalla predicazione della chiesa, che sempre rinnova l’annuncio del vangelo:  «Non rendete a nessuno male per male (…). Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene». E’ una logica che va oltre ogni calcolo e che non soppesa torti e ragioni ma si affida alla potenza di Dio. E’ quanto ci ha testimoniato Gesù con il dono della sua vita fino alla morte di croce. Non è una via che si sottrae al conflitto con la malvagità o che tace la verità: Gesù infatti con le sue parole ha denunciato apertamente l’ingiustizia e accettando la croce ha mostrato con i fatti una logica differente.

Guai se la chiesa non annunciasse il vangelo, il miracolo dell’amore di Dio che converte malfattori e nemici, oltre ogni aspettativa; guai se non ci fossero cristiani pronti a seguire, a proprio rischio, la via dell’amore incondizionato. Con l’unica avvertenza, apertamente indicataci da Gesù, di fare questa scelta per noi stessi e non per altri, o al loro posto: “Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano.” (Gv 18,8).
C’è poi una seconda via, quella politica, dei laici cristiani che lottano per la giustizia terrena e portano la responsabilità del bene comune e della protezione dei più deboli. Se la prima è un profetico richiamo al regno di Dio verso cui camminiamo nella speranza, la seconda cerca di raggiungere il meglio, ciò che è storicamente possibile, mediante il discernimento delle situazioni contingenti. Una via certamente diversa e, pur nel suo strutturale limite, non meno degna. La chiesa legittima e accompagna con rispetto l’impegno dei potenti nella ricerca della pace tra le nazioni e talora, per la sua complessa esperienza storica ed istituzionale, si trova persino nella condizione di contribuire direttamente alla ricerca di soluzioni politiche.
La pace, come altri beni, non può essere solo apprezzata idealmente, ma va perseguita nei fatti e questo inevitabilmente pone molti interrogativi su quale sia il modo per farlo più efficacemente, salvaguardando i diversi aspetti in gioco. E’ talora solo insipienza, ma può diventare sbagliato e ingiusto dare del guerrafondaio a chi ha una diversa idea dei mezzi necessari per raggiungere la pace. Certo chi dice di non poter fare diversamente potrebbe mentire o anche solo sbagliarsi: perciò il confronto delle posizioni deve entrare nel merito e non limitarsi ai principi.
La guerra è sempre una tragedia, ma oggi a causa del potere di distruzione rappresentato dagli armamenti nucleari pare sempre ingiustificabile, anche quando vi si ricorre per legittima difesa o contro il tiranno. Tuttavia, come possiamo costatare oggi in Ucraina non è facile decidere come fermare la guerra evitando che si propaghi in altri paesi. Non pretendiamo qui di dirimere il confronto politico, e le diverse voci cristiane su come garantire la giustizia e arrivare alla pace. Mi auguro tuttavia di aver offerto una più larga prospettiva con cui guardare al dibattito in corso.