Parola e vita
di Pietro Cioli
Dopo i due precedenti testi in cui abbiamo parlato della necessità di opporsi al male e delle due vie cristiane con cui cercare la pace, diciamo qui della pace donataci da Gesù, e di come la sua morte di croce sottragga alla violenza ogni legittimazione religiosa.
Il giovedì santo abbiamo cantato: “Quando poi venne di nuovo tra noi, noi comprendemmo…” Quando Gesù risorto riconsegna ai suoi discepoli la sua amicizia e la sua pace, nonostante essi l’avessero tradito, essi compresero cosa significasse forza di Dio. La forza di Dio non ammazza, ed anche dopo ogni ingiusto omicidio, restituisce alla speranza e alla vita. Di questa apparizione del risorto raccontata da Giovanni (20,19-23), ci resta in mente la conclusione: “a chi perdonerete i peccati saranno perdonati…” ma per capire il compito assegnato ai discepoli dobbiamo intendere meglio la parola iniziale: “Pace a voi”.
La passione di Gesù infatti è anche la storia dell’abbandono dei discepoli, della loro incomprensione, del loro tradimento. Pochi giorni dopo il Signore non torna per fargliela pagare, come loro stessi pensavano fosse giusto fare: infatti, quando raccontò la parabola dei vignaioli che ammazzano l’inviato e chiese ai discepoli cosa dovesse fare il Figlio dell’uomo al suo ritorno, essi gli risposero che avrebbe dovuto farli fuori. E invece no, Gesù tornando non lo fa.
Noi stessi ci saremmo aspettati la rappresaglia: “prima di riavere la mia pace spiegatemi la presunzione per cui pensavate di difendermi con la violenza, e spiegatemi la vostra fuga, e perché dopo tante eroiche dichiarazioni vi siete chiusi in questa stanza e avete paura di mettere il naso fuori”. Ma non furono queste le parole di Gesù. Dopo tutto quello che era successo Gesù si presenta e incredibilmente dice: “Pace a voi”.
Questa sorprendente offerta di pace, capita nel suo contesto, corregge il nostro fraintendimento della sua morte di croce. La crocifissione fu irrogata come pena di un delitto. In qualche modo anche i più crudeli tra gli uomini avvertono che dare la morte è una cosa enorme e quando lo fanno cercano di legittimarlo in qualche modo. Per capire la morte di Gesù non dobbiamo scordare che essa fu deliberata dai capi giudei in nome di Dio e di quella che si riteneva la sua giustizia, anche se poi dovendo farla eseguire dai romani furono addotti pretestuosi motivi politici. Gesù fu ucciso perché secondo i suoi accusatori le sue parole e i suoi gesti corrompevano la religione, davano di Dio e della sua giustizia un’immagine fuorviante, di uno che non ripagando con la condanna il peccatore, non pretendendo di essere risarcito se offeso, induceva confusione a proposito del bene e del male, del vero e del falso.
Il comune sentire religioso comportava il convincimento che Dio fosse tanto forte da riuscire sempre a farsi valere senza venire mai sconfitto o denigrato e la cosa era tanto ovvia che i discepoli stessi vedendo che Gesù non si imponeva con la forza cominciavano a dubitare che fosse davvero l’inviato di Dio: se fallisce storicamente, non può dimostrare la sua vera identità.
Per sconfessare il modo di credere implicito in tali accuse e per testimoniare invece che Dio è un Padre e che il suo buon diritto, la sua verità non ha niente da spartire con la violenza, Gesù prese questa decisione: dal momento che questi non cedono e non si lasciano convincere in alcun modo, se ci deve essere un crocifisso sarò Io, se qualcuno deve perdere la vita per rendere evidente che Dio è amore incondizionato e che la sua forza è l’amore, allora io accetto di venire ucciso e dalla croce offrirò il perdono ai miei carnefici.
Noi uomini per affermare le nostre buone ragioni spesso ricorriamo alla forza e siamo pronti addirittura a passar sopra al prossimo, se ci resiste. La forza del nostro amore è modesta ed è forse per noi inevitabile comportarsi così, anche se dovremmo farlo con le lacrime agli occhi e senza mai superare certi limiti. Ma Dio non ha bisogno di fare cadaveri per affermare la propria giustizia, Dio non pianta croci per affermare il suo buon diritto. E da quel giorno, dal sacrificio di Gesù sulla croce, chiunque pianti una croce, eserciti una violenza dicendo: “è in nome di Dio, è per amore della sua giustizia, è per affermare la sua verità”, commette un abominio. Come purtroppo è capitato e come dobbiamo denunciare senza riserve anche quando sono dei cristiani a farlo.
Vergogna! Chi uccide in nome di Dio, non sta dalla parte di Dio. Questa la parola di liberazione che non permette più di associare in alcun modo Dio e la violenza. Questa la buona notizia cristiana che lascia stupefatti i discepoli. Questo il senso inarrivabile per noi uomini della pace donata da Cristo. Non dovremo mai stancarci di riascoltarla e di ripensarla perché essa ci sfugge dalle mani, è troppo diversa da quel che pensiamo e anche dal modo con cui immaginiamo Dio e viviamo la religione. Dovremo sempre di nuovo riaffermare e riconquistare questa parola dopo aver passato le fasi dello sgomento, dello scandalo, della paura e dell’imbarazzo per scoprire la luce in essa racchiusa: “forza di Dio è solo quella che dona la vita…”