Parola e vita

Francesca Coccia

Sono davanti al presepe parrocchiale, l’occhio corre alla ricerca del soggetto atteso: la capanna con la Sacra Famiglia… ”dove l’hanno posta? Come l’hanno allestita?” Poi in un secondo momento, passo ad ammirare tutto il resto: i pastori, il deserto, le montagne, il paese sullo sfondo. Eh si! La protagonista è quella cosa favolosa chiamata famiglia. Non immaginavo fosse di tal bellezza finché non l’ ho sperimentata; quando ero ragazza pensavo che la famiglia fosse la tomba della personale libertà, per questo, spesso, mi interrogavo su quale fosse la mia strada; è nata poi la vocazione alla famiglia nel momento in cui, ormai matura, mi sono innamorata e questo amore è stato corrisposto. Dopo un iniziale rodaggio si è passati alla fase del lasciarsi amalgamare che tutt’ora, dopo 7 anni di matrimonio, è in atto e credo terminerà con il divenire sempre più una cosa sola. In seno a questa vocazione realizzata, è sbocciata, dopo la nascita della primogenita Teresa, la consapevolezza della vocazione ad essere madre e padre, per questo abbiamo poi volontariamente desiderato il secondogenito Vincenzo e la terzogenita Margherita. Scopro sempre più come la famiglia sia palestra di santità: è un continuo mettere a frutto i propri talenti e allenarsi nelle diverse virtù, è una umana esperienza di sentimenti divini. Dio continua a venire in mezzo agli uomini e a stare nelle loro vicende, a noi spetta il serbare queste cose nel cuore come faceva Maria, ”ponendole in relazione l’una con l’altra e tutte col mistero di Dio”. Attraverso le nostre quotidiane vicissitudini è la via per conoscere l’Amore, Lui che è in noi, nel creato, nel fratello. Dio non abita nei cieli, ma quaggiù sulla terra! La sua misteriosa presenza si appalesa nelle nostre vicende umane, infatti, non ci può essere spiegazione catechetica migliore sull’amore di Dio del viverlo in maniera piena ed incarnata; come si può comprendere l’amore di Dio che da pace e che libera il nostro cuore se non sentendoci amati in maniera incondizionata e per quello che sei dall’uomo o dalla donna che Lui ti ha messo accanto? Vivere un amore fedele, che sa rinunciare a tutto per il bene dell’altro donandogli fiducia e rispettandone la piena libertà, è ciò che ti sa rendere libero dalle schiavitù, che ti affranca dai giudizi della gente e ti fa riscoprire guarito. Ulteriore palestra di vita e virtù, dopo la formazione di un nido stabile, che potrebbe già bastare a se stesso, è il dono dei figli, non perché siano carini e paffutelli, in verità sono anche, come si sa, impegnativi, ma perché costringono anche te a tornare bambino. E’ un lavoro duro che costa sacrificio perché ti spinge ad una regressione non spontanea in cui abbiamo tutto da guadagnare: abbiamo da guadagnare la franchezza, la tenerezza, l’umiltà, la gestione della vulnerabilità; sei costretto a spiegare la vita con parole di bimbo che non sono mai casuali, non difficili ma neanche semplicistiche perché i bambini non si accontentano di frasi fatte o di detti popolari, ma sono spugne ansiosi di spiegazioni veritiere, di compagni gioiosi e testimoni coraggiosi; allora anche il genitore si interroga e scandaglia la verità per fornirla al figlio come fa la mamma uccello quando mangia e sminuzza il cibo prima di darlo ai suoi piccoli. Il figlio ti costringe a vivere da protagonista, a non rimanere alla superficie delle cose ma ad essere vigile in ogni momento senza mai assopirti, mai stancarti, mai appiattirti. Si cresce insieme e questa seconda crescita per un genitore è bella in quanto è coscientizzata: con un figlio sei costretto a rivivere anche ciò che era rimasto irrisolto nella tua vita perché invece tutto ha senso, tutto è importante e tutto va vissuto fino in fondo. La gioia e la tenerezza dei sorrisi dei figli vanno a braccetto con il sacrificio della relazione, con l’ansia della protezione nei loro confronti che si risolve solo nell’abbandono fiducioso nelle mani di Dio, così facendo lasceremo che Lui agisca e ci stupiremo nel vederlo all’opera nel trasformare la nostra vita e quelle dei nostri figli in capolavori, lasciamoglielo fare! Di quanta fede si sarà nutrita Maria ogni giorno per stare accanto al figlio di Dio; credo che si sia dovuta sentire responsabile di questo grande fardello, si sarebbe dovuta sentirsi schiacciare da tale responsabilità, ma la donna della fede è la Donna accogliente che desiderava oltretutto adempiere il volere di Dio sulla Sua vita.

La gioia e la tenerezza dei sorrisi dei figli vanno a braccetto con il sacrificio della relazione, con l’ansia della protezione nei loro confronti che si risolve solo nell’abbandono fiducioso nelle mani di Dio, così facendo lasceremo che Lui agisca e ci stupiremo nel vederlo all’opera nel trasformare la nostra vita e quelle dei nostri figli in capolavori, lasciamoglielo fare! Di quanta fede si sarà nutrita Maria ogni giorno per stare accanto al figlio di Dio; credo che si sia dovuta sentire responsabile di questo grande fardello, si sarebbe dovuta sentirsi schiacciare da tale responsabilità, ma la donna della fede è la Donna accogliente Dio non ha scelto una via facile per venire in mezzo a noi, non ha scelto una via “divina” come noi potremmo immaginarla, ma si è incarnato nel seno di una donna, ha scelto di condividere la nostra limitatezza umana; l’infinitamente grande, l’eterno si è fatto piccolo, sottomettendosi al grembo femminile, ad una famiglia, ad ogni tappa della vita umana; seppure il suo messaggio non era una cosa che poteva attendere, non era una parola come le altre, eppure Lui non ha saltato nessuna tappa del suo essere bambino e ragazzo attendendo i 30 anni prima di iniziare la predicazione. Dio facendosi umano ha umanizzato ogni sentimento, vivendolo e dandogli valore: è stato con i suoi amici, con la sua famiglia …è venuto così come se ne è andato, dal legno della mangiatoia al legno della croce, dalle pecore dei pastori che lo adoravano al sacrificio dell’Agnello; è tutto lì, è tutto nel sacrificio di un’umanizzazione fatta a 360 gradi, di un’incarnazione dolorosa vissuta fino al dolore della carne. Il Natale è certo un mistero di impoverimento “Cristo da ricco che era si fece povero”, che non può non interrogare la nostra vita. Non ci è chiesto alcuno sforzo per elevarci al nostro Creatore, ci è chiesto solo di accoglierlo così come ci si è presentato: fragile e disarmato, di accoglierlo in ciò che ci accade, di accoglierlo nelle gioie e nei dolori, quando è tutto capibile e quando non troviamo risposte, come la sua Sua Famiglia ha fatto.
Il mio Dio è fragile.
E’ della mia razza. E io della sua.
Lui è uomo e io quasi Dio.
L’amore ha reso fragile il mio Dio.
Il mio Dio ebbe fame e sonno.
Il mio Dio fu sensibile.
Il mio Dio fu nutrito da una madre
Il mio Dio fu dolce come un bambino.
Amò tutto quanto è umano, il mio Dio.
Il mio Dio tremò dinanzi alla morte.
E’ difficile per tanti il mio Dio fragile.
Il mio Dio che piange,
il mio Dio che non si difende.
E’ difficile questo mio Dio,
questo mio Dio fragile,
per chi pensa di trionfare soltanto vincendo,
per chi si difende soltanto uccidendo.
Non è facile il mio Dio Fragile per quelli
che continuano a sognare un Dio
che non somiglia agli uomini!

(Juan Arias)