Vita in comunità
Collaborazione tra GMG e il liceo Bottoni
Sono ormai tre anni, di cui uno in didattica a distanza a causa del covid-19, che nel nostro liceo viene portato avanti il CAB, ovvero la colletta alimentare del Bottoni. Quest’anno siamo riusciti a raccogliere 226 kg di alimenti, per metà consegnati al Banco Alimentare e, per metà, alla parrocchia GMG.
Sono entrata al liceo tre anni fa. Fin dal primo anno ho partecipato al CAB. L’ho fatto inizialmente in modo del tutto inconsapevole, quasi per caso, semplicemente alzando la mano durante una lezione di matematica. Ero un po’ spaesata e perplessa, ma tutto sommato felice di partecipare a un’iniziativa volta ad aiutare chi ha bisogno.
Il secondo anno il CAB è stato organizzato nel bel mezzo della seconda ondata Covid. Sicuramente è stato per la raccolta l’anno più complicato, dato che si è svolto interamente dietro a un PC. Però quell’anno ho deciso di approcciarmi al progetto in maniera decisamente più seria rispetto all’anno precedente. Così facendo, mi sono sentita, nonostante la DAD, molto più coinvolta nella raccolta e di conseguenza più contenta. In questo terzo anno siamo finalmente tornati in presenza, ad un’apparente normalità. Dunque penso che l’ultimo CAB sia stato il più coinvolgente in assoluto, rispetto ai due anni precedenti; infatti, ero molto più consapevole che la colletta fosse qualcosa di concreto, non mera astrazione.
Quest’anno ho capito che il CAB per me è stato un’opportunità. L’opportunità di cambiare partecipando ad un progetto a cui credo e che può aiutare, anche solo con un piccolo gesto, qualcuno che ne abbia bisogno. Il CAB mi ha permesso di partecipare ad un’iniziativa totalmente diversa attraverso la quale ho compreso che, oltre allo studio, al quale tengo molto, c’è qualcos’altro di altrettanto utile e prezioso; ed io, anche se ho solo 16 anni, non posso ignorare ciò: siamo tante individualità e ciascuna di queste può dare un utile
contributo al benessere della nostra comunità.
Elisa
Sono entrata a far parte del gruppo Caritas quando, appena andata in pensione, mi sono proposta di dedicare il mio tempo libero e le mie energie a qualcosa di utile e che allo stesso tempo potesse soddisfare le mie aspirazioni.
Ho lavorato nel campo della ricerca nell’industria farmaceutica, con passione e soddisfazione, ma ero sempre chiusa in un laboratorio i miei rapporti umani erano limitati ai colleghi e agli amici, sentivo quindi l’esigenza di aprirmi verso il prossimo, di stare a contatto con le persone.
In parrocchia cercavamo collaborazione per il gruppo Caritas San Vincenzo e senza pensarci due volte ho aderito immediatamente: veniva soddisfatto il mio desiderio di rapporti umani e nello stesso tempo mi piaceva l’idea di poter venire incontro anche materialmente a un bisogno primario come quello del cibo, tanto sottolineato anche in molti passi del Vangelo. Ho passato la mia infanzia in tempo di guerra, sfollata nella casa dei nonni nella campagna pavese; c’era la stalla con qualche mucca, il pollaio, l’orto e nel cortile il forno a legna per il pane; avevamo il necessario per vivere, ma niente di più, eppure la nonna riusciva ancora a dare qualcosa alle famiglie vicine più disagiate e anche ai poveri di passaggio, anche solo delle uova, del pane, un pezzo di stracchino.
Forse proprio li ho incominciato a capire il senso sacro del cibo come punto di partenza verso l’affermarsi della solidarietà umana.
Alberta Bianchi