Parola e vita
di Pietro Cioli
“Faccia da quaresima” è diventato un modo per indicare un volto emaciato, da persona triste, noiosa, che non sa gioire o ancor peggio, che vuol apparire seriosa agli occhi altrui. Non sarà facile, ma proviamo a ribaltare quest’immagine logorata e nominiamo diversamente questo tempo: “40 giorni a Pasqua”. Un tempo, che nel prepararci a vivere il “passaggio” di Gesù alla vita piena che più non muore, ci dispone a questa gioia inaudita e ce la fa pregustare. Un cammino da fare per 40 giorni, per rafforzare il desiderio, che tutti abbiamo, di una vita diversa, di essere persone nuove.
Gesù ha vissuto 40 giorni nel deserto e noi ci ispiriamo alla libertà con cui Egli ha sfidato il male, al coraggio con cui ha guardato avanti a sé, senza mai smettere di credere che la vita sia una promessa di bene, un cammino in cui Dio ci sostiene. Vivere è bellissimo ma non sempre semplice. Dall’esperienza di Israele nel deserto noi sappiamo che la prova a cui la vita ci sottopone è il solo modo con cui ciascuno può arrivare a scoprire quel che ha in cuore e che davvero desidera. Quel che riceviamo in dono vivendo e che Dio ci dona può diventare davvero nostro solo volendolo con tutto noi stessi, liberamente. Gesù nell’accettare la prova ci mostra come vincere la tentazione di tentare Dio, di essere noi a porre condizioni invece di affidarci.
Per fare nostra la Pasqua di Gesù, per vincere la paura e la disillusione di fronte all’apparente sconfitta della croce, per riconoscere che forza di Dio è solo quella che dona la vita e che essa sarà alla fine vittoriosa, la nostra fede deve purificarsi, farsi autentica. Di domenica in domenica, di settimana in settimana dovremo imparare nuovamente a stare con più verità davanti a Gesù. Aver avuto molti mariti non sarà un impedimento insuperabile (Samaritana). Potrebbe esserlo invece la nostra appartenenza religiosa se diviene un pretesto per non guardare alla verità dei propri comportamenti (Figli di Abramo).
La disabilità corporea o la marginalità sociale non sono un indizio di colpa, anzi: ammettendo di essere ciechi, con la “nostra carne”, nella nostra reale condizione, potremo riconoscere il Signore (Cieco nato). Anche la morte, minaccia suprema che fa apparire tutto inutile e insensato, potrà essere sfidata e vinta nella fede (Lazzaro). Senza più trattenerci, esultanti canteremo a piena voce la nostra insopprimibile attesa del Messia che porta salvezza (Palme).
Potremo allora “fare Pasqua”: un’espressione da mantenere perché dice bene che la Pasqua va “praticamente rivissuta”, nella celebrazione e nella vita, sino a fare di noi uomini nuovi. Nel rito, le parole e i gesti danno forma al nostro ricordo e Dio ci raggiunge più profondamente e ci trasmette un’energia e una sensibilità che possono dare avvio alla rigenerazione del nostro essere. La Pasqua di Cristo diventa allora la pasqua del cristiano, il passaggio di Gesù al Padre genera in noi il passaggio ad una nuova condizione di vita.
Rivivremo nei tre giorni del triduo l’intera vicenda di Gesù, l’evento storico della sua passione e morte, l’ultima cena che ne anticipa il senso, la splendente vittoria nella risurrezione. Nell’incontro con il Signore, potrà germogliare la “primavera della nostra esistenza”, l’inizio di una condizione diversa. Anche per l’esistenza è necessario un ciclico, ogni anno più profondo, esporsi a quella grazia che può fare di noi delle persone nuove. Non possiamo raggiungere alcuna novità partendo solo da noi, né limitandosi a variare i contesti della vita, il lavoro, le relazioni, le esperienze.
La salvezza viene da Gesù ma non senza di noi, l’avventura della nostra libertà. Saremo persone nuove grazie alla nostra audacia, all’attenzione e alla generosità con cui vivremo.